Bias di conferma: il pregiudizio tipico dei social, e non solo
Esiste un meccanismo molto studiato in psicologia, definito confirmation bias (bias di conferma) secondo il quale tutti noi tendiamo ad accettare le sole informazioni che sono aderenti al nostro sistema di credenza. Questo errore cognitivo in pratica ci porta, quando acquisiamo nuove informazioni, ad attribuire maggiore credibilità a quelle che confermano la nostra ipotesi iniziale, facendoci ignorare o sminuire quelle che la contraddicono. In particolare, questo fenomeno si attiva in presenza di argomenti che suscitano forti emozioni o che toccano le nostre credenze più radicate e non fa distinzione in base al quoziente intellettivo o alla nostra apertura mentale.
Questo fenomeno non è certo prerogativa dei social network, ma riguarda le dinamiche stesse di aggregazione degli esseri umani. Già Francis Bacon nella sua opera Novum Organum del 1620 descriveva così questo meccanismo: “Si tratta di un peculiare e ripetitivo errore del capire umano di propendere maggiormente e con più enfasi nei confronti delle affermazioni più che delle negazioni.”
Possiamo riscontrare questo pregiudizio nella raccolta dei dati, come una cecità parziale che impedisce di osservare i fenomeni da più punti di vista. Proprio per questa sua natura, si ritrova facilmente nei dibattiti politici, nei quali le fazioni differenti sembrano estremizzare le loro opinioni, focalizzando la loro attenzione su tutti quegli eventi o argomenti che non fanno che rinforzare la loro idea iniziale.
Il substrato cognitivo in cui opera il pregiudizio di conferma è molto profondo e radicato e i meccanismi che ne determinano le dinamiche sono tutt’oggi poco chiare. Sicuramente un ruolo significativo viene giocato dalla necessità di mantenere la propria coerenza personale, evitando di mettere in discussione quelle certezze su determinate visioni del mondo che, giuste o sbagliate, sono per ognuno di noi dei punti fermi. La funzione principale del bias di conferma sembra infatti quella di preservare l’identità personale, confermando quelle idee che rispecchiano il nostro gruppo sociale. Queste stesse idee, se rigettate, danneggerebbero il nostro senso di appartenenza e, di conseguenza, noi stessi. Infatti, per quanto si assuma l’essere umano come entità razionale, le nostre certezze sono tenute insieme da una coerenza che spesso è più emotiva che logica. Per cui, ogni volta che entriamo in contatto con una nuova informazione il processo di selezione non è strettamente vincolato alla sua reale utilità e fondatezza. Ogni informazione viene confrontata con quello che già pensiamo e, alla fine dei giochi, è più facile acquisire informazioni già coerenti con il nostro sistema di credenze invece di informazioni che le mettano completamente in discussione. Queste ultime vengono per lo più ignorate o, se per caso ci troviamo costretti al confronto, avranno un effetto di rinforzo di quello che già si credeva vero.
Lo psicologo Raymond Nickerson, autore di “Confirmation bias: A ubiquitous phenomenon in many guises”, riporta alcuni esempi storici che hanno alla base il bias di conferma, citando ad esempio:
- la caccia alle streghe e l’istituzione di tribunali specifici per la loro condanna;
- il rallentamento delle scoperte in medicina dovuto alle idee mediche popolari, talvolta estremamente distanti dalla medicina scientifica.
Ma senza voler andare molto indietro nel tempo, è vivo proprio adesso il dibattito in merito alla necessità o meno dei vaccini e ai potenziali rischi degli stessi. Sebbene sia stato smentito ogni collegamento dei vaccini con l’insorgenza di sindromi dello spettro autistico, molte persone continuano a ritenere quest’ultima una possibilità tanto concreta da rifiutare di assumersi il rischio. Insomma, anche di fronte ai dati scientifici che dimostrano quanto alcune malattie, come il morbillo, siano più pericolose dei vaccini, tanta gente resta ancorata alla propria idea.
Il caso del vaccini ci fa vedere come il bias di conferma governi le nostre credenze. Sembra che l’essere bersagliati da informazioni che provano a delegittimare un’idea, porti a un suo rafforzamento. Quest’ultimo fenomeno è dovuto al Backfire Effect, cioè effetto controproducente: le persone disinformate, messe di fronte ai fatti che mettono in discussione la loro opinione, diventano ancora più attaccate alle loro teorie sbagliate.
Proprio di questi bias cognitivi si nutrono gli autori di fake news, i quali, con bufale spesso costruite a tavolino, riescono ad ottenere un grande seguito. Viene da sé che internet è un terreno molto fertile per questo genere di bias, perché, mettendo in comunicazione una tale moltitudine di persone, facilita l’incontro tra chi condivide le stesse idee ed opinioni, in un circuito che si autoalimenta.
Difendersi dai bias è un lavoro che richiede costanza e impegno. Essendo meccanismi naturali del cervello, essi non sono infatti eliminabili, mettendo in questo modo in difficoltà qualunque tipo di analisi che vorrebbe risultare distaccata. L’unico modo funzionante, in effetti, sarebbe quello di prendere in considerazione ex-post gli effetti del bias, dopo aver effettuato qualsiasi tipo di indagine, riuscendo così a distinguere i fatti dalle opinioni.