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Inclusione= /in·clu·ṣió·ne/ dal lat. inclusio -onis, der. di includĕre ‘includere’ •metà sec. XVI .

È una parola che oggi amiamo usare, in ambito sociale, essere inclusi significa soprattutto sentirsi accolti: appartenere a un gruppo di persone, a una società, godere pienamente di tutti i diritti e le opportunità che questa appartenenza comporta. Anche nel marketing si sta progressivamente rivelando sempre più importante, tanto che da qualche anno si parla di Inclusive Marketing: un approccio comunicativo capace di raggiungere un pubblico ampio considerando tutti gli aspetti dell’identità di una persona: il colore della pelle, l’età, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o la religione.

L’attenzione a questo nuovo approccio deriva dal fatto che includere è nel vocabolario delle nuove generazioni di consumatori. Basti pensare che negli Stati Uniti la generazione Z rappresenta già il 25% della popolazione. Lo ha messo nero su bianco lo studio di Microsoft “The psychology of inclusion and the effects” dedicato alla rivoluzione dei consumi: il 70% dei giovani intervistati ha dichiarato di fidarsi maggiormente di brand che rappresentano la diversità, mentre il 49% ha affermato di aver smesso di comprare da marchi che non rispettano i valori in cui credono. La pubblicità inclusiva ispira fiducia, genera fedeltà e spinge all’acquisto. «Il marketing inclusivo è un investimento sul futuro delle marche. D’altronde il business è appartenenza: quando i tuoi clienti sentono di appartenere a te, ti premiano scegliendoti», ha scritto Sonia Thompson, Inclusive Brand Coach & Strategist, su Forbes.

Una comunicazione inclusiva deve far leva sull’empatia, attraverso cui comprendere fino in fondo il proprio pubblico e rappresentarlo in tutte le sue sfumature. Sfumature inerenti alla personalità e alle preferenze, che non possono più essere trascurate ma incluse e valorizzate.

La ricerca di Microsoft mette in luce 5 princìpi chiave, che le aziende non possono ignorare:

1. la pubblicità inclusiva genera fiducia
2. produce fedeltà
3. spinge alla volontà di acquisto
4. fa emergere l’importanza delle parole e delle immagini
5. rende evidente quanto sia più rischioso non esprimersi, non prendere una posizione

Le aziende che non considerano l’importanza dell’inclusione sono a rischio di perdere un numero significativo di clienti. Avere immagini o messaggi che rappresentano solo una minoranza di persone, o che si basano su stereotipi, possono risultare fastidiosi ed escludere molti potenziali clienti.

Un buon esempio di inclusione nel marketing moderno è l’uso di influencer di tutte le razze, culture e orientamenti sessuali. La scelta dei testimonial degli annunci pubblicitari può avere un impatto significativo sul pubblico che vedi quel contenuto. Il pubblico di oggi vuole vedere persone rappresentative di tutte le culture e di ogni tipo, e la mancanza di questa rappresentanza può influire negativamente sulla percezione di un marchio.

L’esempio virtuoso di Benetton

Tra le prime aziende italiane a comprendere l’importanza e la portata del marketing inclusivo, nel 1991 lancia la campagna United Colors of Benetton. L’ obiettivo è promuovere l’inclusione e la diversità attraverso la rappresentazione di persone di diverse etnie, religioni e orientamenti sessuali. La campagna è stata promossa attraverso affissioni, pubblicità televisiva e su riviste, e ha mostrato come la diversità e l’inclusione sono alla base dell’identità dell’azienda e che possono essere rappresentate in modo accattivante e provocatorio, attraverso l’uso di immagini e messaggi forti. Nel corso degli anni, Benetton ha continuato a promuovere la diversità e l’inclusione attraverso le sue campagne pubblicitarie e iniziative sociali.

La Barbie inclusiva

Il marchio Mattel già da qualche anno ha sposato il concetto di inclusione, così, spinta probabilmente dal desiderio di far rispecchiare nell’immaginario della bambola più persone possibili, le ha fatto assumere più forme fisichevarie tonalità di pelle, e col tempo hanno visto la luce anche le prime Barbie con disabilità. Da qualche settimana è disponibile nel nostro paese la Barbie con sindrome di Down.

Per garantire che la bambola rappresenti accuratamente una persona con la sindrome di Down, Barbie ha lavorato a stretto contatto con la National Down Syndrome Society (NDSS) per definire l’aspetto del viso, del corpo, dell’abbigliamento, degli accessori e persino della confezione. Ma sono tutti i dettagli, dalla scelta dei colori del vestito (il giallo e il blu utilizzati come simbolo della giornata della sindrome di Down), la collana (con pendente rosa e tre frecce verso l’alto che rappresenta le tre copie del cromosoma 21) sono stati curati nei minimi dettagli.

Barbie esempio virtuoso di inclusive marketing

La scelta è stata motivata da Lisa McKnight, vicepresidente esecutivo e responsabile globale di Barbie & Dolls, Mattel “In quanto linea di bambole più diversificata sul mercato, Barbie svolge un ruolo importante nelle prime esperienze dei bambini e noi ci impegniamo a fare la nostra parte per contrastare lo stigma sociale attraverso il gioco“.

Dopo le Barbie con diversi colori di carnagione, la prima Barbie con fisicità “curvy”, il Ken sulla sedia a rotelle e diversi modelli con le protesi, Barbie si candida a diventare la bambola più inclusiva.

 

Clinique: inclusività come valore fondamentale

Un altro ottimo esempio ce lo da Clinique, che fin dalla sua nascita ha fatto dell’inclusività il suo valore fondamentale, ribadendo più volte tramite campagne ad hoc l’intenzione di voler avere tra i suoi clienti ogni persona a prescindere dalla nazionalità, dalle tradizioni o dal genere a cui appartiene.

Seguendo questa linea ha creato nel Marzo 2021 la sua più completa campagna inclusiva per il lancio del nuovo fondotinta “Even Better”, che sfata e distrugge tutti i miti che sono sempre aleggiati sull’industria del beauty. Sono stati scelti 9 influencer, tra cui Loretta Grace e Stefano Guerrera, per promuovere 42 tonalità di fondotinta studiate per adattarsi alla quasi totalità degli incarnati.

Inoltre è approdata sui social smantellando il tabù secondo cui gli uomini non possono truccarsi scegliendo un influencer uomo per la sua campagna; il loro claim non poteva che essere “Clinique promuove la diversità, in ogni sua forma”.

Wake Washing: i grandi flop

Purtroppo ci sono però anche gli esempi meno virtuosi. Avrete sicuramente sentito parlare di Woke Washing: si tratta di quel fenomeno per cui i temi di giustizia sociale sono sfruttati dai brand per una strategia di marketing, senza alcuna azione virtuosa a fare da contraltare. È il caso di brand che si fanno portatori del valore dell’inclusione per apparire virtuosi, ma che non la applicano all’interno della loro azienda.

Il caso di Burger King

È il caso di Burger King che ha lanciato nel 2021 la campagna “Real Meal” che dalle intenzioni doveva far luce sul complesso tema della salute mentale, promuovendo panini adatti agli umori più diversi.

Peccato che la stessa catena di fast food non prevedesse alcun tipo di sostegno psicologico professionale per i propri dipendenti, compresi permessi o paghe adeguate a seguire di propria iniziativa un percorso terapeutico.

Audi: flop al Super Bowl

O il caso di Audia che lanciò nel 2017 lo spot “Daughter” durante il Super Bowl 2017 che, con uno storytelling piuttosto emotivo, sottolineava la necessità di risolvere il gender gap anche e soprattutto in ambito lavorativo e inneggiava all’uguaglianza salariale, e che è stato smentito dalla presenza nel board aziendale di pochissime lavoratrici donne in posizione esecutiva.

In conslusione

Fare Inclusive Marketing è un’impresa difficile che deve essere studiata in modo attento: una campagna costruita nel modo giusto dovrebbe riflettere la realtà. Nella società moderna il politically correct ha conquistato parte del mercato in ogni settore e ambito, eppure non è necessario ricorrervi forzatamente per “accontentare” i clienti.

Trasformarsi in attivisti o in promotori di una causa per i brand è un’operazione almeno tanto rischiosa quanto piena di opportunità: le accuse di woke washing sono tra questi rischi, così come lo è per esempio quello di favorire, anche inconsapevolmente, forme di attivismo pigro e la convinzione, cioè, in chi acquista un gadget rosa durante il mese di ottobre di aver fatto la propria nella lotta contro il cancro al seno.

Philip Kotler, capostipite del marketing moderno, nel libro “Brand Activism. Dal purpose all’azione” ci spiega come un brand realmente attivo debba spingersi oltre la sua mera responsabilità sociale e cambiare il proprio assetto dall’interno, per abbracciare l’inclusione delle diversità a 360°. Adottare, pertanto, un approccio strategico che cambi il ruolo dei CEO, le regole della leadership e la comunicazione interna, interessando in primo luogo chi nelle aziende ci lavora, gli impiegati, per poi estendersi al mondo esterno, i clienti e gli stakeholder.

Il marketing inclusivo è una vera e propria arte. Richiede molta attenzione e comprensione delle sfumature culturali e delle esigenze dei clienti. Richiede anche l’uso di immagini e parole che non escludano nessun gruppo, ma che siano adatte a tutti.

Ecco alcune accortezze per evitare che le proprie iniziative falliscano o, peggio, siano percepite come opportunistiche e di facciata:

1.scegliere bene la causa da sposare e assicurarsi che questa sia il quanto più possibile coerente con la propria storia, i propri valori, la propria mission aziendale;
2. essere chiari e trasparenti rispetto alle ragioni per cui si è scelto di dare sostegno a una causa, un movimento
3. valutare bene i rischi reputazionali
4. fare attenzione alle azioni, più che alle parole
5. non cercare di essere creativi o di provocare a tutti i costi, soprattutto quando in gioco ci sono temi delicati
6. avere una buona strategia di crisis management

Nel mondo della comunicazione ma in generale nella vita, schierarsi significa spesso anche inimicarsi chi non condivide lo stesso parere, o comunque esporsi a critiche se qualche azione non è perfettamente coerente con quanto dichiarato. Ma significa anche abbracciare una causa, farsi promotore di valori importanti e questo sicuramente ci aiuta ad avvicinare il pubblico e generare fiducia. L’inclusività è un valore che deve sempre più rappresentare prima l’orientamento della nostra azienda e successivamente del nostro marketing. Non si può più ignorare il bisogno di un pubblico sempre più sensibile ai temi della diversità e dell’inclusività e la preziosa occasione che ogni brand ha di poter contribuire a diffondere una maggior equità. 

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